Sono trascorsi 100 anni dall’istituzione dell’8 marzo quale Giornata internazionale dell’Operaia, poi diventata Giornata Internazionale della Donna e festeggiata per la prima volta in Italia l’8 marzo 1946.
Eppure, siamo ancora ben lontani dal raggiungimento di una effettiva parità di genere: secondo il World Economic Forum questa potrà essere raggiunta tra 136 anni, 36 in più rispetto al periodo pre-pandemia, durante il quale soprattutto molte colleghe hanno visto ulteriormente appesantirsi il carico delle incombenze relative alla gestione familiare. Nondimeno, sarebbe ipocrita parlare oggi di “parità raggiunta” nel sistema militare, ovvero in un contesto che per circa tremila anni ha rappresentato un caso di pressoché assoluto monopolio maschile e nel quale l’inserimento delle donne ha costituito un’evoluzione avvenuta nel nostro Paese poco più di vent’anni fa.
Tuttavia, occuparsi oggi dei diritti delle donne – in particolare della tutela dei diritti delle lavoratrici che fanno parte di quella che, a conti fatti, è l’unica amministrazione militare impegnata in prima linea nel contrasto alla violenza di genere – significa arricchirsi: come NSC vogliamo continuare a promuovere questo messaggio positivo che da tempo sta dando i suoi frutti, rendendoci l’associazione professionale a carattere sindacale di appartenenti all’Arma con il più alto numero di nomine sindacali di sesso femminile e di iscritte.
Quest’ultimo dato ha reso possibile una costante sensibilizzazione di NSC su temi necessari per promuovere un effettivo cammino verso la parità nel nostro ambiente lavorativo, nel quale persistono pregiudizi e stereotipi nei quali è prima di tutto immersa la nostra società. Convinzioni e contraddizioni che hanno origine dalla differente educazione che ci viene impartita in base ai sessi: sin da piccoli, ai maschi viene lasciato poco spazio per lo sviluppo di qualità come la sensibilità, l’emotività e l’empatia e questo fa sì che la loro identità si formi rinunciando a molte cose, nella convinzione che questo possa essere l’unico modo di essere uomini. Di contro, siamo abituati a sentir dire che le donne sarebbero “per loro natura” empatiche, portate ai lavori di cura. Entrambi questi esempi sono frutto di costruzioni culturali che non hanno nulla di “naturale”, di biologico. Non è che gli uomini non sono empatici perché l’empatia non fa parte del loro bagaglio genetico: semplicemente, è una caratteristica che il contesto culturale in cui viviamo non ritiene necessario sviluppino, tant’è che finiscono per convincersi di non averla. Per questo motivo siamo erroneamente convinti che le donne siano “naturalmente” più portate per la trattazione, ad esempio, delle denunce di violenza domestica e/o di maltrattamenti in famiglia.
Una presa di coscienza di siffatti elementi è necessaria per intraprendere un cammino nella direzione dell’uguaglianza che tenga conto delle differenze di ognuno.
Nondimeno, non si potrà parlare di parità sul lavoro finché non si raggiungerà una effettiva responsabilità bigenitoriale: iniziare a ragionare concretamente dei diritti/doveri del padre lavoratore è il primo passo per iniziare a condividere realmente tra i coniugi gli oneri di assistenza e cura della prole: solo alleggerendo i carichi familiari delle colleghe queste potranno trovarsi nella condizione di investire maggiormente sulla propria crescita professionale. Perché, come scrisse Oriana Fallaci: “Essere mamma non è un mestiere. Non è nemmeno un dovere. È solo un diritto tra tanti diritti.”
