Suicidi nell’Arma. Ecco perché è importante parlarne

Se non fosse per l’impegno costante e tenace di sindacati e associazioni, il tema dei suicidi tra i lavoratori in uniforme, resterebbe ancora un tabù.  Si sa, la barriera più complessa da abbattere è quella del silenzio e dell’indifferenza che molto spesso si celano nell’ermetismo dello spirito di corpo.

Parlando in particolar modo dell’Arma dei Carabinieri ed esaminando i numeri ad essa correlati, possiamo affermare che il fenomeno è piuttosto preoccupante e che la curva nell’ultimo triennio segna un significativo rialzo.

Come ha illustrato il segretario nazionale del Nuovo Sindacato Carabinieri Roberto Di Stefano negli ambiti di un convegno sul tema organizzato dal sindacato di Polizia Siap, tenutosi a L’Aquila, nel 2019 l’Arma ha contato tra le sue fila 17 militari che si sono tolti la vita.

Seguono 13 casi nel 2020 e ben 23 nel 2021, tra cui 6 forestali su un numero di circa 6000 appartenenti. Il ché rileva una percentuale piuttosto significativa tra i forestali che, come ben sappiamo, a seguito della Legge Madia del 2016, in un’ottica di spending review, ha accorpato il Corpo Forestale dello Stato nell’Arma dei Carabinieri, militarizzando per decreto il personale.

Una manovra, un “taglio” vero e proprio, che più che un paventato risparmio che di fatto non c’è stato, ha solo alimentato il malcontento tra i forestali disperdendone anche le competenze.

Diversi tra loro, infatti, sono quelli che si sono ritrovati ad affrontare procedimenti disciplinari conseguenti all’applicazione del regolamento di disciplina militare attuato dai neo dirigenti, forse poco avvezzi alla materia. Nsc in tal senso ha fatto diversi interventi, scrivendo più volte al Comando Generale al fine di trovare una soluzione adeguata che possa “lenire” uno dei maggiori fattori di stress per la categoria.

E venendo al punto suicidi, dunque, da sempre la posizione di questa O.S. è che il militare che arriva a compiere tale gesto estremo non sia semplicemente un soggetto debole.

Dietro questo gesto si nascondono disagi, situazioni emotive particolari che necessiterebbero di un percorso di ascolto e inclusione che nella nostra Amministrazione viene meno.

Il militare ha bisogno di una figura amica, magari esterna dall’Amministrazione, che lo ascolti e lo aiuti al fine di prevenire l’evento. Al contrario, è ben risaputo che nel momento in cui il militare si trovi ad affrontare un periodo difficile, magari dovuto anche alla separazione coniugale, che richiede un sostegno psicologico, il primo intervento dell’Amministrazione in tal senso è quello di sospenderlo ritirandogli tesserino e arma di ordinanza.

Privando il militare di quella che è la sua “identità” professionale, non si fa altro che accentuarne il senso di frustrazione e inadeguatezza che molto spesso sfocia in un declino psicofisico che nella peggiore delle ipotesi si conclude con l’estremo gesto.

Da sempre NSC chiede di poter partecipare a un tavolo tematico di discussione per avanzare proposte e cercare di risolvere un problema attuale, drammatico e purtroppo esistente. Una delle nostre proposte è quella di istituire uno sportello provinciale che sia obbligatorio per tutti i militari, al di là che questi abbiano problemi. Tutti dovremmo avere l’obbligo di parlare periodicamente con uno psicologo, per farla diventare una normalità non etichettabile.

Non ne si può ignorare l’atrocità, non si può non parlarne.

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