Congedi parentali, ricongiungimenti, 2° Brigata Mobile. Come vivono oggi le donne dell’Arma?

di Monica Giorgi – Presidente Nuovo Sindacato Carabinieri NSC

La Giornata Internazionale della Donna non è l’occasione per cenare al ristorante con menù “dedicati alle donne”. Non è una celebrazione in nome di una presunta superiorità o singolarità delle donne “in quanto donne”, migliori, più fragili, più intelligenti, più sensibili, ma una ricorrenza con una valenza politica ben precisa, ovvero quella della rivendicazione di essere uguali nei diritti. 

Come se la vivono le donne nell’Arma oggi? In alcune realtà, neppure esistono, nonostante ovunque siano andate abbiano portato professionalità e arricchimento. Pensiamo alla loro imbarazzante assenza, ancora oggi, dalla Seconda Brigata Mobile, non solo per ciò che attiene alle realtà operative (ci risulta che ancora oggi colleghe di tutte le categorie si farebbero avanti per partecipare alle preselezioni per i vari Reggimenti, 1°, 7° e 13°, organizzate durante i corsi di formazione, per poi non essere sistematicamente inviate a destinazione nei suddetti reparti) ma anche per quelle di ufficio. In 23 anni di donne nell’Arma abbiamo avuto colleghe Comandanti di Stazione in realtà complesse come, per esempio, quelle dell’entroterra della Sardegna, e non una che sia passata, sempre per fare un esempio, per il Reparto Supporti della Seconda Brigata Mobile. Incredibile, non vi pare?

E poi la questione dei congedi parentali, per quanto siano sempre più i colleghi che chiedono di usufruirne. Ma in certi reparti, in certi contesti, restano ancora un tabù. Tra le varie statistiche che vengono richieste dall’Amministrazione, ne è mai stata proposta una in tal senso? Perché di fronte a reparti con una richiesta pari allo zero, ci sarebbe da chiedersi se chi ne fa parte la pensa alla stregua del ritornello della canzone di Colapesce Dimartino sentita a Sanremo “Ma io lavoro per non stare con te” oppure se tra quei colleghi ci sono anche coloro che quel congedo parentale lo chiederebbero pure, ma sono condizionati dalle consuetudini del loro ambiente lavorativo. 

Non ultima, la questione dei ricongiungimenti, perché quando marito e moglie lavorano a più di tot. Km di distanza, anche da “ricongiunti”, e c’è di mezzo un figlio, non solo ad un padre si nega di “fare il padre” – nonostante soprattutto molti giovani starebbero finalmente scoprendo la preziosità di questo ruolo – ma si dà per scontato che sia la madre a dover sacrificare la propria vita professionale per sopperire l’assenza del coniuge. 

Il sacrificio della donna viene vissuto come un dato di fatto, come se non esistesse alternativa, perché è l’unica cosa riconosciuta da tutti e, ahimè, anche da qualche donna. Quando capiremo che le donne incontrate sul posto di lavoro non sono sorelle, madri, figlie, mogli, ecc. – come qualche Ufficiale ancora ci definisce in occasioni pubbliche – ma sono appartenenti dell’Arma dei Carabinieri? Sappiamo benissimo di essere anche questo, ma non è certo questa la classificazione giusta in cui relegarci nel contesto lavorativo. Siamo agenti e ufficiali di polizia giudiziaria, comandiamo anche noi persone, abbiamo le vostre stesse identiche responsabilità. 

Facciamocene tutti quanti una ragione.

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