In pattuglia al rientro dalla maternità obbligatoria. Il commento di Monica Giorgi e Loredana Paolone, presidente Nsc e segretaria regionale E.R.

di Monica Giorgi (Presidente NSC) e Loredana Paolone (Segretaria Regionale Emilia Romagna)

In una recente circolare Arma datata 30.01.2023 è stato previsto che le militari dell’Arma, al rientro dal periodo di maternità obbligatoria, possono essere impiegate nei servizi di pattuglia e/o perlustrazione.        

Questa “novità” (per la quale abbiamo scritto una lettera al Comando Generale) ha destato molte perplessità nelle colleghe, probabilmente a ragion veduta: prima della pubblicazione di detta circolare buona parte dei Comandanti, in assenza di indicazioni precise e agendo secondo buonsenso, evitava – dalla comunicazione dello stato di gravidanza della donna fino al settimo mese successivo al parto – di impiegare le colleghe in quel servizio esterno, di fatto considerando quell’impiego come lavoro pericoloso, faticoso e insalubre. Ciò era la conseguenza di quel vuoto regolamentare da parte del Ministero delle Difesa – che ancora oggi sussiste – nell’individuare quei lavori pericolosi, faticosi e insalubri che le madri lavoratrici nel corso della gravidanza e nei sette mesi successivi al parto, non possono svolgere, come è prescritto dal D.Lgs. 151/2001 e successive modifiche del D.Lgs. 66/2010.

Quasi tutte le colleghe, quando rientrano in servizio dal periodo di maternità obbligatoria, usufruiscono delle due ore di permessi orari retribuiti per allattamento, lavorando 4 ore al giorno anziché 6: pertanto, per impiegarle in un servizio esterno, deve essere programmata una pattuglia di massimo 4 ore. E gli imprevisti che allungano il turno oltre l’orario previsto, quando si svolge questa professione, capitano spesso, e quando si allatta al seno o in generale quando si ha un bambino molto piccolo questo può diventare oggettivamente un problema. In questi casi, il buonsenso potrebbe suggerire di non impiegare la collega per più di tre ore fuori, per scongiurare il protrarsi oltre le 4 ore in caso di imprevisti. Ma siamo sicuri che l’agire di tutti i comandanti sia guidato da sensibilità e buonsenso intesi a tutelare le colleghe? Siamo certi altresì che l’impiego in servizi esterni – e dunque nei tipi di intervento più disparati – non esponga le lavoratrici ad un lavoro potenzialmente pericoloso? E ancora, quali sono stati i criteri adottati nell’individuare tali condizioni di lavoro?

Ci siamo informati su come funzionano le cose in Polizia di Stato e abbiamo appreso da loro non vi è alcun divieto di impiegare il personale femminile in pattuglia al rientro dalla maternità. Ma le pattuglie, in PS, sono esclusivamente articolate su sei ore! Di conseguenza, per le colleghe è sufficiente chiedere i permessi per le ore di allattamento per essere automaticamente non impiegate in suddetto servizio sino al compimento del primo anno di vita del figlio.

Inoltre, le colleghe dell’Arma provenienti dall’ex CFS ci hanno riferito che – prima del transito nell’Arma dei Carabinieri e in assenza di circolari analoghe a quella richiamata – nei primi mesi di rientro dalla maternità sarebbero state perlopiù impiegate in mansioni d’ufficio.

La maternità non deve essere “patologizzata” ma, come sigla sindacale, stiamo ragionevolmente invitando le colleghe a segnalarci eventuali situazioni di criticità dovute ad interpretazioni “integraliste” e noncuranti della tutela delle stesse in merito all’accudimento dei loro figli, che potrebbero costituire casi di discriminazioni delle stesse sul posto di lavoro.

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