La professione del carabiniere comporta notevoli e costanti rischi, spesso invisibili al grande pubblico, come purtroppo tragicamente accaduto anche pochi giorni fa nel Brindisino.
Il Nuovo Sindacato Carabinieri sente il dovere impellente di intervenire per illuminare la complessità e i pericoli intrinseci a un mestiere che ogni giorno espone i suoi servitori a sacrifici incalcolabili, così come sta accadendo nel territorio calabrese, in cui una testata giornalistica online ha intrapreso una crociata nei confronti degli appartenenti all’Arma dei Carabinieri.
È fondamentale sottolineare che la stampa, nel suo vitale ruolo di informazione, non dovrebbe mai sostituirsi alla magistratura, pur evidenziando e raccontando i fatti, ma senza permettere esternazioni accusatorie rispetto ad altre figure o esporle a rischi senza avere piena conferma delle notizie.
Le recenti narrazioni distorte relative a vicende giudiziarie non solo travisano la realtà processuale, ma soprattutto minano la fiducia e la sicurezza di chi opera in prima linea per la legalità.
Il cuore pulsante dell’attività investigativa, specie quella volta a smantellare le ramificazioni della criminalità organizzata, si fonda sulla segretezza e sull’infiltrazione.
Operazioni delicate come le intercettazioni ambientali o telefoniche non sono meri atti burocratici, ma strumenti cruciali che, se compromessi, possono trasformarsi in autentiche trappole mortali per gli uomini e le donne in divisa.
È in questo contesto che la condotta di un ex operatore dell’Arma assume una gravità inaudita.
La sua condanna definitiva per rivelazione di segreti d’ufficio, scaturita dall’aver informato un affiliato a una cosca dell’installazione di apparecchiature di intercettazione da parte della squadra investigativa coordinata da un Maresciallo dei Carabinieri, non è un semplice illecito amministrativo o una banale infrazione disciplinare.
È un atto che ha squarciato il velo di segretezza di un’operazione delicatissima, esponendo direttamente i suoi stessi colleghi – uomini che indossano la stessa divisa, condividono gli stessi ideali e affrontano gli stessi pericoli – a un rischio concreto e immediato.
Immaginare che la parte intercettata, una volta avvisata, potesse tranquillamente organizzare una contromisura, una fuga o, nella peggiore delle ipotesi, una vera e propria imboscata, non è un’ipotesi remota o fantascientifica, ma una tragica possibilità intrinseca al mondo del crimine organizzato; e questo rischio un carabiniere lo conosce bene.
Proprio per questo motivo, il suo comportamento ha avuto il potenziale di mettere in serio pericolo la vita di chi, fino a quel momento, era al suo fianco.
Accusare poi, come fatto dall’ex operatore, il Maresciallo e la sua squadra investigativa di aver “rovinato la vita” o di essere “vittime del sistema giudiziario” è un’affermazione che ribalta la realtà con un cinismo sconcertante. Questi carabinieri hanno dedicato anni della loro esistenza a combattere la criminalità organizzata, conseguendo risultati straordinari che, in sinergia con la magistratura, hanno portato all’azzeramento di cosche mafiose in importanti contesti territoriali.
Il loro operato, riconosciuto da encomi e dalla fiducia incondizionata proprio da parte della magistratura come della società civile, è l’emblema del sacrificio per lo Stato.
Che accuse tanto gravi giungano proprio da un ex carabiniere, peraltro condannato nell’ambito delle medesime indagini, è un affronto all’integrità e alla dedizione di chi onora quotidianamente la divisa.
La sentenza definitiva che ha condannato l’ex operatore è un fatto inconfutabile, scolpito nella roccia della giustizia.
Non si può ignorare, peraltro, che ombre significative siano state gettate su alcune fasi del processo che lo ha riguardato.
È noto che un magistrato che ha preso parte a decisioni relative a tale vicenda sia stato successivamente condannato per episodi di corruzione e che lo stesso fosse legato anche per vincoli di parentela ad altre figure interessate nel procedimento.
Questi elementi, pur non direttamente collegati alla condanna definitiva per rivelazione di segreti d’ufficio, delineano un contesto che, agli occhi di un osservatore attento, solleva interrogativi sulla linearità e trasparenza di alcune fasi, soprattutto quando la solerzia utilizzata dalla testa giornalistica in questione non riserva la stessa attenzione per questi ultimi fatti.
Il Nuovo Sindacato Carabinieri, lungi dal voler alimentare polemiche sterili, intende piuttosto riportare il dibattito sulla realtà dei fatti, riequilibrando una narrazione che, troppo spesso e in assenza di contraddittorio, ha strumentalizzato una vicenda deplorevole.
L’impegno del sindacato è verso la verità e la tutela di ogni carabiniere che, con onore e professionalità, serve il Paese.
Auguriamo un sereno e proficuo lavoro ai colleghi che, con la loro abnegazione quotidiana, continuano a scrivere pagine di lustro per la gloriosa Arma dei Carabinieri, rendendola un faro di legalità e sicurezza per la nostra Nazione.
Domenico Galeone, segretario generale provinciale di Catanzaro del Nuovo Sindacato Carabinieri