Il dibattito sulla gestione dell’ordine pubblico durante le manifestazioni torna ciclicamente a infiammare la scena politica italiana.
Recenti episodi hanno riacceso i riflettori sul delicato equilibrio tra il diritto a manifestare e la necessità di garantire la sicurezza.
Emerge una frattura evidente tra chi parla di legittima espressione di dissenso e chi, invece, denuncia una preoccupante escalation di violenza e devastazione.
Quando il volto di una protesta si nasconde, si alza un muro di incertezze.
La nostra Costituzione tutela il diritto di protestare liberamente, ma a una condizione: che le manifestazioni avvengano pacificamente e senza armi.
A integrare questo principio, il Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS), all’articolo 5, in cui si prevede esplicitamente che le autorità possano imporre lo scioglimento di manifestazioni che vedono la presenza di persone travisate, ossia con il volto coperto in modo da renderne difficile il riconoscimento.
L’obiettivo è chiaro: prevenire l’illegalità e tutelare l’incolumità pubblica.
Eppure, a fronte di atti vandalici, come il danneggiamento di beni pubblici o l’incendio di simboli nazionali, si sollevano voci che minimizzano l’accaduto, definendo le violenze come “eccessi” di un legittimo dissenso giovanile.
L’atto di celare la propria identità non è un semplice vezzo: è spesso il preludio a comportamenti che vanno ben oltre la protesta civile e che, inevitabilmente, mettono a rischio l’incolumità di manifestanti, Forze dell’Ordine e cittadini.
In questo contesto, il lavoro delle Forze dell’Ordine, che hanno il compito di far rispettare la legge, viene spesso delegittimato.
Le decisioni di sciogliere cortei, prese per garantire la sicurezza e il rispetto della legge, vengono etichettate da alcuni come atti repressivi o “fascisti”, creando una narrazione distorta che mina la fiducia nelle istituzioni.
Il vero nodo della questione è il seguente: si può sostenere la causa dei manifestanti ignorando la violenza di chi si infiltra tra loro per creare il caos?
O è necessario un approccio più risoluto, che separi nettamente il diritto di manifestare da quello, inesistente, di devastare e aggredire?
La politica, spesso, sembra incapace di affrontare questo dilemma con chiarezza, preferendo la retorica divisiva a discapito di una tutela ferma, ma garantista, dell’ordine pubblico.
L’Ufficio Organizzazione Mobile del Nuovo Sindacato Carabinieri